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V A L E N C I A

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Una città che affonda le sue radici nella storia e nelle tradizioni, che oggi è proiettata nel futuro.

 

Mercoledì 22 ottobre 2008

Poco dopo le 09,00 eravamo già fuori, ma nonostante fossimo in una strada piena di negozi, la città appariva ancora dormiente. Era tutto chiuso; anche una pasticceria sotto casa, il bar di fronte, chiusi! Più avanti un bar era aperto, ma sembrava non avesse pasticceria.

Università di Valencia

Camminando abbiamo raggiunto una  vicina piazza in cui vi era un bel palazzo, sede dell’Università, questa chiaramente già aperta. Ci siamo affacciati al suo interno, dove abbiamo visto un bellissimo chiostro. Poi abbiamo notato un cartello indicante la presenza di un bar. Qui, finalmente, abbiamo fatto colazione.

Abbiamo continuato a girare per le vie principali del centro storico, che intanto si animavano, attraversando anche la grande e centralissima Palza de la Reina. Poi, proseguendo, siamo giunti in Plaza del Mercado, dove, appunto, vi è il grande Mercato Centrale e, di fronte ad esso, la Lonja de Seda, un bellissimo palazzo in stile gotico.

Incuriositi ed attratti dal via vai della gente che entrava ed usciva da quella grande struttura in stile liberty, siamo entrati nel mercato. Qui, una moltitudine di banchi esponeva ogni genere di prodotto alimentare. C’erano macellerie, pescherie, rosticcerie, ma particolarmente attraenti erano i banchi della frutta e della verdura, e delle spezie, coloratissimi ed ordinati. E poi, che dire delle salumerie!

File e file di prosciutti, su cui non era difficile leggere “Serrano” o “Iberico”; guardavamo increduli i loro prezzi: 60 – 70 €. il Serrano, ma anche abbondantemente oltre i 100 €. l’Iberico. Pazzesco! Ma poi, anche nei giorni successivi, ci siamo resi conto che qui il prosciutto crudo è considerato un prodotto di nicchia, quasi un cult. Ce n’è di tutti i tipi, anche a poco, ma l’eccellenza è senza alcun dubbio l’Iberico. Viene servito anche nei pub o vinerie, accompagnato  dalle  altrettanto  rinomate e  buonissime tapas ed un buon bicchiere di vino o birra. Inoltre, c’è da dire che, pensandoci bene, il prezzo dell’Iberico non è così ingiustificato.

Mercato Centrale

Infatti, esso è prodotto da carni di maiali allevati allo stato brado in altura. Quindi, è chiaro che il tempo, gli investimenti ed i costi finali siano notevolmente più elevati. Girando all’interno del mercato, siamo rimasti affascinati anche dalla sua stessa architettura. Esso fu costruito nel 1928 ed ha una superficie di 8.000 mq., tanto da essere tuttora uno dei più grandi d’Europa. La struttura è in stile liberty ed è decorata con piastrelle colorate in ceramica.

Al suo interno vi sono quasi mille banchi e botteghe, ove si vende ogni tipo di prodotto alimentare, soprattutto di origine locale. Questo è un luogo molto carino e caratteristico, oltre che per l’interesse architettonico della stessa struttura, anche perché qui si svolge un’attività commerciale molto intensa. Peraltro, si tratta di un luogo frequentato soprattutto dai valenciani, quindi non di interesse prettamente turistico.
Il mercato è aperto solo il mattino e chiude alle ore 15,00.

Dopo aver scattato un bel numero di foto, siamo usciti dal mercato ed abbiamo attraversato la strada, quindi siamo entrati nella Lonja.
Il Palazzo della Lonja de Seda (ingresso gratuito), fu costruito nel XV secolo, ovvero nel periodo più fiorente per la città, in un elegante stile gotico.
Appena entrati ci siamo ritrovati in una grande sala con numerose colonne tortili, a spirale, che raggiungendo il soffitto a volte si ramificavano assumendo le sembianze di alberi, di palme, ma che in realtà pare volessero rappresentare fasci di seta. Sotto i nostri piedi, un bellissimo pavimento marmoreo. Questa era la sala dove avveniva la contrattazione della seta, tessuto di grande pregio e valore a quell’epoca. Attraverso una porta, siamo giunti in una sala più piccola, più rinascimentale. Quest’ala del palazzo, infatti, ospitò successivamente la prima banca dell’era moderna in città.
Grandi finestre ed una porta guardavano un giardino interno al palazzo, ove vi erano aranci ed altre piante. Dal giardino, attraverso una scala in pietra, siamo giunti ad un’altra sala ubicata al piano superiore, sempre in stile rinascimentale, anch’essa molto bella.

Tornati al piano inferiore, ci siamo seduti un attimo, nei pressi di un grande finestrone, per riprendere fiato. Poi, siamo stati letteralmente accerchiati da una scolaresca in visita alla Lonja, quindi abbiamo preferito abbandonare il Palazzo.

In strada, dopo pochi minuti, ci siamo resi conto di non avere più con noi la macchina fotografica. Riflettendo, abbiamo realizzato che non potevamo che averla dimenticata nel Palau de la Lonja de Seda, lì dove ci eravamo seduti. Siamo tornati subito sui nostri passi, abbiamo raggiunto quel luogo, ma nulla! Chiaramente, non sarà passata inosservata a qualcuno di quei ragazzi sopraggiunti quando eravamo lì. Abbiamo provato a chiedere al personale di custodia al Palazzo, ma non sapevano nulla. Quindi, ci siamo messi l’anima in pace e siamo andati via.

La macchina era una compatta di medio valore. Ma più che altro, eravamo scocciati per aver perso le foto scattate la sera prima e nella mattinata. D’altronde, meglio che sia successo il primo giorno!

Ora, non ci restava che procurarci subito una nuova compatta.

Ripartendo da Plaza de Mercado, siamo giunti a Plaza Ayuntamiento (Piazza del Municipio), diretti verso il nostro alloggio. Lungo la strada abbiamo visto un negozio, uno studio fotografico che esponeva in vetrina alcune macchine fotografiche. Una compatta sembrava essere una buona occasione, in quanto in offerta. In omaggio c’era anche la doppia batteria. Non ci abbiamo pensato due volte.

Prima di tornare a casa siamo entrati in un piccolo supermarket, dove abbiamo acquistato un boccione da 5 l. di acqua (soluzione certamente più economica, per evitare di spendere 3-4 euro al giorno solo per dissetarsi), del prosciutto serrano e del formaggio caprino, quindi siamo rientrati a casa. Dopo pranzo, io ho velocemente provato le funzionalità della nuova macchina fotografica,  quindi siamo subito ripartiti.

Chiaramente, ci eravamo premuniti di una cartina della città, su cui avevamo indicato tutti i siti di interesse turistico da visitare. Alcuni avevano una priorità maggiore, altri li avremmo visitati solo nel caso avessimo avuto ulteriore tempo. Quindi, non giravamo mai a caso; avevamo sempre un sito da raggiungere. E mentre ci dirigevamo verso la nostra meta successiva, ci siamo trovati davanti ad un cartello indicante “Palau del Conte de Cervellò, che seppure non lo avessimo mai sentito rammentare prima, ci ha incuriosito. Ci siamo affacciati al suo interno, dove si apriva un grazioso patio. In seguito ne avremo visti altri, altrettanto belli ed anche di più raffinati e caratteristici. Più avanti, siamo entrati nell’“Iglesia di San Juan del Hospital”, una bella chiesa in stile gotico. Quindi, proseguendo tra viuzze strette ed altre più ampie, abbiamo raggiunto il fulcro del centro storico valenciano, ovvero la Cattedrale e l’attigua Basilica de la Virgen de los Desamparados, davanti alla quale si apre l’omonima piazza. Tutt’attorno al complesso della Basilica e della Cattedrale, tanti eleganti ed importanti palazzi signorili.

Siamo entrati nella Basilica.

La Basilica de la Virgen de los Desamparados è una chiesa non molto grande, ma che rappresenta un antico simbolo della storia valenciana. Essa fu edificata nel XVII sec., per ordine di Filippo IV, in onore della “Vergine”, a cui erano state attribuite numerose guarigioni in seguito alla peste che in quell’epoca aveva messo a dura prova la città, così come l’intera Europa. Come luogo, fu scelto un antico foro romano, accanto alla preesistente Cattedrale, a cui, peraltro, è collegata.

Alcune testimonianze della sua origine sono rilevabili nella facciata principale della Basilica, in alcune lapidi che riportano iconografie ed iscrizioni romane, evidentemente appartenenti ad edifici o monumenti preesistenti in quel sito.

La chiesa, non a caso, fu edificata a forma ovoidale, in quanto tale forma è riconducibile al simbolismo della Vergine Maria. Inizialmente molto sobria, per motivi di economicità, fu successivamente arricchita con ornamenti rinascimentali e poi con altri più sontuosi in stile barocco.

In fasi successive fu anche ampliata, mediante la costruzione della Cappella Reale (1652-1666) e l’aggiunta di una nuova costruzione a forma di croce greca, con architettura di tipo obliquo, denominata “El Camarin de la Virgen. Inoltre, nel 1701, in piena epoca barocca, fu edificata una nuova cupola, mentre allo stesso periodo risalgono numero opere pittoriche attribuite ad Antonio Palomino. Ulteriori interventi successivi hanno aggiunto ulteriore valore artistico all’intera struttura, oggi ben apprezzabili grazie a recenti opere di restauro.

Usciti dalla Basilica de la Virgen, abbiamo attraversato la piazza antistante, quindi siamo sbucati in Plaza de la Reina, su cui si affaccia la grande Cattedrale, risalente al XIII secolo, seppure evidentemente rimaneggiata in periodi successivi. Infatti, già i suoi tre portali evidenziano tre distinti stili: la Puerta del Palau, che si apre in calle del Palau, vicino all’elegante palazzo dell’arcivescovado, è chiaramente in stile romanico, mentre la Puerta de los Apostoles, che si apre in Piazza de la Virgen, è gotica. L’ultima, invece, più recente, la Puerta de los Hierros, risalente al XVIII sec., che resta più vicina alla torre campanaria, è barocca.

L’edificio sorge in un sito della città in cui vi era già un edificio sacro, una moschea, abbattuto alla fine dell’epoca di dominazione araba, per simboleggiare la ritrovata identità cattolica della popolazione.

Vicinissima alla Cattedrale vi è anche l’annessa torre campanaria, chiamate “Miguelete”, alta 50 mt., visitabile (262 gradini), sovrastata da ben 11 campane tuttora funzionanti, alle quali, curiosamente, sono stati dati nomi femminili.

Entrati all’interno della Cattedrale (è previsto un modesto ticket), siamo stati colpiti dalla tanta luce calda che filtrava dalle grandi finestre in alabastro e dai dipinti e dai quadri, che erano praticamente dappertutto. Tutto il perimetro della chiesa era costituito da cappelle private, appartenute ad influenti famiglie. In una di esse, in particolare, appartenuta ad un ramo locale della famiglia Borgia, vi erano anche dipinti del Goya.

Tornati fuori, abbiamo ammirato il Miguelete, l’alta torre campanaria, ma dopo uno sguardo loquace, abbiamo deciso di non affrontare i suoi 262 gradini.

Abbiamo passeggiato ancora per le vie del centro, finché non si è fatto buio. Intanto, eravamo lungo l’itinerario delle antiche mura urbane, abbattute nel XIX sec., presso Torres de Quart (le Torri di Quart), o Porta di Quart (XV sec.). Queste, con Porta de Serrans, costituiscono un interessante esempio di architettura militare dell’epoca. Infatti, tale tipo di architettura, realizzata in stile tardo gotico, fu presa ad esempio nella realizzazione di altre opere, risalenti allo stesso periodo, anche in Italia, come nel caso di Porta Soprana a Genova o ancor più nella torri del Maschio Angioino a Napoli, realizzate, appunto, da maestri aragonesi.

Oltre che per usi militari, le torri, nel XVII sec., ospitarono anche un carcere femminile. Oggi, chiaramente, sono monumento nazionale, facenti parte del patrimonio storico-culturale della Spagna. Intanto, ormai era quasi ora di cena e, comunque, eravamo abbastanza sfiniti. Quindi, abbiamo raggiunto il ristorante Forcat, nei pressi delle Torres de Quart, e lì, finalmente, ci siamo rilassati. Il Forcat l’avevamo selezionato già prima di partire, leggendo svariate recensioni su Internet.

Questo risultava un ristorante molto raccomandato, dove sarebbe stato possibile mangiare una buona paella espressa, un’ottima sangria, ma anche tanti altri piatti della tradizione valenciana. Peraltro, essendo ubicato nel centro storico, era anche molto apprezzato e frequentato da studenti universitari.

Riguardo alla paella, ritengo opportuno spendere alcune righe. Nato come piatto povero, che un tempo veniva preparato utilizzando tutti gli avanzi presenti in casa, nel tempo ha subito molte varianti ed evoluzioni. La vera paella “valenciana” è solo a base di carne e di verdure, ma altrettanto buona è la variante a base di pesce, chiamata di marisco. A volte è possibile trovare anche la paella mista (carne, verdure e pesce), ma quella è roba destinata ai soli turisti, che un valenciano non mangerebbe mai. Solitamente è un piatto preparato a pranzo, ma ormai, nei ristoranti, su richiesta viene preparato anche a cena. La paella che noi più preferiamo è quella di pesce, detta, appunto, di marisco, che può contenere cozze e/o vongole con guscio, gamberi, seppia, e pezzetti di pesce, come ad esempio il filetto di salmone, di pesce spada, tonno o anche altro, purché privo di lische (per la ricetta, vi rimando al seguente link).

Preparare la paella è semplicissimo, ma sono necessari almeno 30 minuti. E non è un piatto che può essere preparato in anticipo, in quanto, raffreddandosi, diventerebbe una poltiglia, tutto un pezzo, un mattone.

Quindi, se in un ristorante viene servita in tavola in 10-15 minuti, significa che non è stata  preparata al momento, oppure che è roba surgelata o un avanzo scaldato e portato in tavola. Per quella espressa, bisogna avere un po’ di pazienza!

Da Forcat, però, non abbiamo ordinato la paella. Per quella, avevamo scelto un altro ristorante, indicato e raccomandato da tanti.

Quindi, consultando il menu, la scelta è ricaduta su un altro piatto tipico valenciano, la fideuà, accompagnata da un gran bel boccale di sangria. La fideuà, in realtà, non è altro che una variante della paella di marisco, ossia a base di pesce, nella quale il riso è sostituito dalla pasta di piccolo taglio (tipo spaghettini lunghi circa un centimetro). La cameriera, gentilmente, ci ha avvertito che avremmo dovuto attendere un po’, perché la preparazione delle fideuà avrebbe richiesto almeno una mezzora. Ma questo l’abbiamo considerato un buon segno, perché significava che l’avrebbero davvero preparata al momento. E poi, tanto non avevamo alcuna fretta.

Però, nell’attesa, la sangria andava giù, e si sentiva! Soprattutto io, come la sentivo! Però, buona!

Poi è arrivata in tavola una gran bella padella, bollente: finalmente la fideuà!

Aveva un bell’aspetto, accattivante, invitante, se non altro perché ormai avevamo una fame da lupi.

 

Alla fine, nella padella non c’è rimasto nulla. E meno di nulla nel boccale della sangria.

Soddisfatti e sazi, non c’è rimasto altro che chiedere la cuenta.

Siamo andati dritti a casa; una bella doccia, poi finalmente a letto.

 


 


 

 

 

 
 
   

 

 

 

 

 

 

 

 


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